venerdì 22 luglio 2011

Dante Maffia su L'infinito presente di Luciana Gravina

LUCIANA GRAVINA, L’infinito presente, Altredizioni, 2011

Luciana Gravina è un poeta sperimentale che non è mai venuto meno alla ricerca, che non si è mai adagiata sugli allori e non ha mai rinnegato il suo percorso per seguire “finzioni” che avrebbero potuto agevolarla nel suo cammino di studiosa, di letterata, di autrice che ha sempre sentito viva la parola nel suo farsi e nel suo disfarsi, nel suo evolversi e nel suo perdersi per scoscendimenti che a volte hanno rinverdito il canto e a volte lo ha portato su percorsi insoliti. Ricordo alcuni suoi libri fondamentali come A folle da uno a due, del 1979, o come M’attondo il giorno, del 2003, in cui un magma ardente tentava di uscire allo scoperto per seguire le tracce di un senso intravisto e mai goduto appieno e ricordo lo strazio della sua parola gorgogliante, accesa di un universo di significati che non trovavano requie se non in altre e più complesse diramazioni e penso che ella abbia contribuito a svecchiare manierismi che perdurano in molti poeti anche oggi. Ovviamente non si tratta di polemica, io appartengo al versante dei lirici, figuriamoci! E’ che soprattutto i lirici devono trovare il coraggio e la lealtà di uscire dallo stantio e percorrere la loro strada bevendo al loro cuore e non alle alchimie del disfacimento. Ma questo è altra faccenda. Tornando alla Gravina bisogna dire che si sente costante la sua “preoccupazione” di trovare la strada che la porti dentro il flusso incandescente e irruente del compiuto che in questo libro mi pare abbia trovato. Infatti, e lo dice con chiarezza Rino Malinconico, “questi versi di Luciana Gravina… Chiedono di essere ascoltati, talvolta alla maniera delle affabulazioni cui ci ha abituati Carmelo Bene, talaltra come un buon jazz ‘freddo’, quando i fiati prolungano in un lungo volo lo strazio infinito della solitudine”. Ecco, Malinconico ha colto il senso profondo dell’operazione poetica di Luciana, che va letta al di sopra e al di là del semplice dettato, servendosi di tutto ciò che rimbomba attorno, delle risonanze, degli strascichi, degli aloni, del rimbombare ora acuto ora drasticamente acceso, ora illuminato da indicazioni perfino filosofiche e ora addensato in un luccichio di funamboleschi approdi. Certo, non è poesia facile e facilmente condivisibile, ma si tratta di un corpo a corpo con tutto ciò che dilaga all’interno dell’umano, di tutto ciò che deborda e non trova il solco della compiacenza. Dunque è anche poesia scomoda, che non lascia respirare, che non permette abbandoni e patetismi e che si oppone al diluviare di un senso troppo chiuso nei parametri delle acquisizioni infeconde. La Gravina vuole provocare e nel provocare accendere i lumi di un’alterità che deve sconfinare in un principio di acquisizione semanticamente fuori dalle abitudini. Bisogna dire che gli esiti sono di alto livello, perché L’infinito presente nasce da una reale esigenza espressiva in cui sono coinvolti storia, antropologia, linguistica, politica, e pedagogia: “Nel colloquio affilato sulla doppia partita / doppia l’immensa notte del progresso celato / cela del mio coraggio la falsa archimandrita / falsifica nell’ordine debolezza spaiata”.

Dante Maffìa