martedì 22 maggio 2012

Brevia (ancora)

Salve a tutti,

vi propongo i miei ultimi brevia.
A presto,



La collana assassina
La collana era un laccetto morbido che reggeva un diamante.
Dimorava notte e giorno sulla pelle candida del collo.
Lo strozzò di notte aggrappandosi a un bottone del cuscino.
 Dolcemente, per non fargli male.

Il cero e il gatto
Si godeva l’idea di morire di morte naturale il cero a forma di palla diametro cm 10.
Ogni volta che lo accendevano, si scavava lentamente dentro, con la fiamma, in una grotta lucida e profumata la sua porzione di eternità a tempo determinato.
Il gatto con una zampata lo fece rotolare nel camino acceso.

Il tappeto senza birilli
Aveva faticato molto per assicurarsi l’immortalità.
Quando vi si trovò dentro, si sentì un tappeto da gioco senza i suoi birilli.
Che l’eternità fosse noiosa noi l’avevamo detto, ma lui non lo sapeva.

sabato 5 maggio 2012

Valentina Nesi ha scritto del mio ultimo libro

Cara Valentina,

Ti ringrazio per l'attenzione che hai dedicato al mio ultimo libro di poesia.
Credo che hai colto nel segno per sensibilità e per conoscenza delle strutture poetiche.
Di nuovo,grazie.

Pubblico in questo blog il pezzo di Valentina che è uscito nel n.del 25marzo2012 del Metapontino.

Luciana Gravina: 'Infinito presente', l'equilibrio del sé

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Viene difficile da raccontare, “L’infinito presente”, a chi non lo dovesse ancora aver  letto; ma,  come sottolinea Rino Malinconico, curatore della raccolta, sono liriche che “chiedono”, soprattutto,  di essere ascoltate.  
Sembra d’obbligo citare il parallelismo da egli stesso utilizzato: “e’ come un buon jaz, i cui fiati prolungano  lo strazio infinito della solitudine”. Simmetria centrate in pieno, non solo per la comune appartenenza di entrambi, a un genere di nicchia, quasi elitario, ma anche e soprattutto per l’intensità della carica espressiva, per dirla alla Tateto, per l’ineffabilità di quel sentimento, qui colto e rimaneggiato.  
L’autrice, Luciana Gravina, una delle voci più risonanti nel panorama del neospe-rimentalismo poetico, viene meno a ogni convenzione linguistica, creando un nuovo linguaggio nel quale pone al centro della scena le parole.  Queste stanno a connotare significati inusuali, evocativi;  i numerosi neologismi, emblema di audacia espressiva, ne lasciano intravedere la rarefazione del lessico.  Un fitto tessuto di figure retoriche costituisce l’intelaiatura di questo canzoniere. Un po’ petrarchista, proprio per il richiamo all’eleganza acustica,  un po’ marinista, per la prepotente energia sprigionata da ogni singolo lemma; lo zenit di questa raccolta è senza dubbio il poemetto “Percezioni”.
In questo , il tema viene dilatato ma non esaurito; vero è proprio manifesto programmatico, svolto sotto forma di racconto, come nell’illustre antecedente verghiano   “Fantasticherie”.  “L’infinito presente”, edito AltrEdizioni è racchiuso in cinquantaquattro pagine, quindici componimenti che portano  Luciana Gravina, di certo, non inesperta scultrice del verso, a proseguire nella sua intima e personale ricerca poetica lungo “infiniti rivoli”, verso quegli obiettivi che ella stessa si era proposta:  la radicale rottura con  le tradizioni poetiche passate e l’inaspettato raggiungimento, anche se precario, dell’equilibrio del sé.

Valentina Nesi

Aggiungo il testo a cui Valentina ha fatto riferimento.


Percezioni

Hic proprio qui dove l’inizio e la fine squiquano e sfinano, spersi. Qui a inizio e fine sdentrati avviene d’essere a illusione di infinito e a non luogo,  perciò  fermi ci smottiamo a percorrere l’universo: di pensiero, dico. Hic dove la vita avviene. Nunc, proprio ora dove il tempo si addensa in percezione  e in globuli di fibre rimanda per l’enèrgheia, il flusso permanente  e più volte inconnu, irrisolto, sdragato.

                                                          Fu quando mi sedusse la luce come un fiume di sabbia luminosa a discesa e a cascata dietro le palpebre e
ancora mi inonda infilandosi al petto, nel chakra cosiddetto del cardias.  E io spietata nella mia incredulezza a spiarlo dubbiosa questo fiume, questa dilagazione di luce multicroma che ad apertura di chakra, appunto, ogni volta avviene a palpebra chiusa e se aperta mi si attacca alle mani, ai palmi e ai bordi. Cosicché è l’io che attracca sfrantato e si addimora nel contorno di liquido sfocato che si sdrama alle mani, ai palmi appunto.

                Una volta fu di bellezza, finesse, lo spirito voglio dire e talvolta quasi a sfida di geometrie. O di entrambi, ancipite insomma. Transeunte,
passeggero, caduco, come suol dirsi, mi pare ora, nunc, appunto, ma allora apparvemi il tutto, l’essenza, la pienezza, non il refolo dell’hic, di quando il tempo prigioniero si cammina dimidiato tra passato e futuro.

                                              Avessi spersuaso l’occhio alla crudezza eunte del biondo capello, della sottigliezza al fianco esperta, strafilata sul nunc. Avessi di sradicata pietà delle pietre nei profili delle fiaccole dove l’ultimo rosso si assiepava, sulla siepe, appunto, di frastagliate compiutezze credute totali, del ventre annidato tra le pupille sazie, tra i sorrisi degli incubi,                                                                                       avessi 

stramato appena la dicotomia triplice del tempo così inconcluso tra passato e presente spesso anche a futuro orbitato se in fantasma la mente si metteva a sogno.

                                                                                                      L’avessi appunto
auscultato questo concerto n.21, Mozart permettendo, non con le auricole fisiche sotto le mani e a vedersi anche per occhi, ma con la pelle per vibrazioni convenute a velocità non intercettabili, a vibrare, appunto, in tutti i pori, dico tutti, dilatati per la spietata penetrazione a sussulto estorto dalla testa alle ultime estremità nel corpo dilaniato a percezione dal fondo, e funditus,  per incontrollabili deliri. Lo avessi
auscultato, appunto, attraverso la pelle.
                                                                                                                 Ma io,
maintenant, io a credere che l’esprit fosse appunto de finesse, al limite, de geometrie, magari entrambi per una testa ancipite, come già, bel viso, anche, d’una compiutezza, così mi sembrava, ou tous se tenait, dove la svasatura del rischio sotto controllo si glissasse egli medesimo sine cura.