mercoledì 26 aprile 2017

Dopo la lettura del mio romanzo, Michela Natale così ha postato sul fb



Milano, 6 gennaio 2017




Ormai so che se un libro mi piace davvero se fa due cose: mi sveglia alle 3 di notte per dedicare un’ora di lettura nella pace della notte e mi provoca una strana sofferenza quando arriva alle ultime pagine, la stessa sensazione di malinconia che si prova quando un viaggio volge al termine. Perché si, un libro è come un viaggio: ti consente di imparare e “vedere” luoghi che non hai mai visto, che magari immagini perché non esistono, vivere in epoche diverse, cogliendone sfumature non sempre descritte nei libri di storia. 
 
Oggi ho terminato questo libro: ”Ginestre e libri proibiti”. E’ un libro
speciale, anche perché due settimane fa ho avuto l’onore di conoscere l’autrice, la professoressa Luciana Gravina. Il periodo storico è il 600, dove l’Inquisizione vigila sui fatti, sulle parole, sui poteri, sui pensieri. Il pensiero e' il protagonista delle vicende ambientate in un luogo a me
caro: il Cilento, in Terra Turracae. L’odore delle ginestre fa da cornice ai
pensieri negati e ai segreti di una Chiesa “corrotta”. Alla base: passione, superstizione, magia, sesso, letture proibite vissute come peccato.
Il dialetto cilentano ha accompagnato la lettura rendendola
vera, viva e a me particolarmente cara.
Un plauso speciale all'autrice Luciana Gravina

Ginestre e libri proibiti, romanzo. Contributo critico di Pina Esposito

Vi posto il testo della relazione che la prof. Pina Esposito ha fatto in occasione della presentazione del mio romanzo Ginestre e libri proibiti, il 24 marzo 2017, presso Mondadori a Nocera Inferiore. 
La presentazione è stata organizzata dalla'Associazione culturale La Sfinge, a cura del prof. Filippo Astarita.


La scrittura narrativa di Luciana Gravina e il suo romanzo.


Proiettati indietro nel tempo, nel diciassettesimo secolo, respiriamo le atmosfere dell'epoca, con un romanzo accattivante, pieno di intrighi e colpi di scena. 
Si tratta di"Ginestre e libri proibiti", romanzo storico di Luciana Gravina. Ambientato a Torraca, piccolo paese del Cilento, da cui si intravede il Golfo di Policastro, in un periodo storico in cui al Sud vige un sistema politico ed economico semifeudale, il romanzo ci offre le sfaccettature di un periodo complesso e controverso. 
Al di là dell'immobilismo apparente del Regno di Napoli, di cui fa parte il feudo di Terra Turracae, si colgono le ventate di un tempo che, trascinandosi dietro il fermento del Rinascimento, segnerà nel bene e nel male la vita dei personaggi che incontriamo nelle pagine dell'opera. 
Vengono ad evidenziarsi vicende che collegano questo punto sperduto del Sud ad altri luoghi del Paese, in primis Roma e lo stato Pontificio e altri,con realtà diverse, ben più dinamiche e libere, come Venezia. Non emergono, invece, le complicate guerre, i relativi trattati  di pace o le brevi e illusorie speranze rivoluzionarie che si determinano, ad esempio a Napoli o a Palermo, in quanto all'autrice preme, soprattutto sottolineare gli aspetti che scaturiscono dalla Controriforma, la quale peserà con cupo terrore, sia sulla vita di tanti individui, sia sull'intera epoca in cui si diffonde. 
Già nel titolo si enuncia e si coglie il riferimento a questo che fu uno dei periodi più oscuri della Chiesa che, come è noto, sotto l'influsso negativo della Controriforma, getterà le basi di un paradigma diverso da quello introdotto con il fervido respiro dell'Umanesimo e del Rinascimento. Un paradigma dove il dogmatismo annienta il libero arbitrio e il libero pensiero, arrivando con l'istituzione del Tribunale dell'Inquisizione, a quell'insopportabile"olocausto" dei libri, messi all'indice e destinati al rogo. Il destino di donne e uomini non fu diverso: arsi vivi in quanto considerati perturbatori dell'ordine della Chiesa. 
Da qui, ritorniamo al titolo "libri proibiti" che è dato al romanzo, anche se con il termine ginestre che lo completa, abbiamo il riferimento ad una pianta esplosiva di profumi e di energie, molto presente in certe zone del Sud, dove esse ingentiliscono paesaggi fatti, a volte, di terre aspre e selvagge. 
Che incidenza avranno i libri proibiti sui personaggi che rappresentano il clero in questo romanzo? In che modo e in quale misura  segneranno lo spirito, il pensiero e, perciò, la vita stessa di costoro? L'autrice, man mano che costruisce il romanzo, senza pedanteria, senza cadere nella trappola di un eruditismo dottrinario e noioso, mette in condizione il lettore di cogliere il travaglio di un prete, Don Biagio e del suo migliore amico, il barone Gian Giacomo Palamolla, destinato a diventare Vescovo di Martirano; un travaglio che li induce ad appassionarsi al pensiero di filosofi, scienziati, eretici e letterati, di cui conoscono le opere e di cui dissertano spesso, mediante un dialogo fitto, edotto, in cui affrontano i temi del libero arbitrio, della fede e della natura di Cristo, uno e trino, sviscerando i loro dubbi e le loro certezze rispetto alle verità rivelate o altre interessanti questioni, come la vicinanza più a Gesù che a Dio. Non mancano, oltre queste disquisizioni, questioni diverse, carnali e passionali, in cui si rappresentano le loro debolezze legate a passioni e ad innamoramenti che si vanno a coagulare intorno a due figure femminili, Ludovica nobile e capricciosa amante di Gian Giacomo, per il quale intraprende un lungo viaggio da Roma al Sud, quando costui diventa Vescovo, incontrando briganti che mettono a repentaglio la sua incolumità; l'altra è Filomena, una popolana schietta e bella che accudisce Don Biagio, servendolo non solo in casa, ma anche a letto, finché non si sposa, dopo aver ottenuto il consenso concessole dal prete. Le due donne, agli antipodi per tanti aspetti, sono speculari ai due uomini di chiesa: Ludovica è cultrice di libri proibiti e ne dispone di eccellenti nel nascondiglio della sua biblioteca, mentre Filomena,c ondizionata dal suo mentore e protettore, da donna di chiesa semplice e senza istruzione, si avvierà verso l'esoterismo, subendone più che il mistero e il fascino, una sorta di divinazione che segnerà la sua vita, venendo additata come "maara", creandosi una cattiva fama che la porta ad essere malvista e irrisa dal resto del paese. La questione dei pregiudizi e delle supposizioni negative che si alimentano nel paese, si collega con quella generale del clima oscurantistico determinato dalla Controriforma; dunque, microcosma e macrocosma che si trovano a mescolare, interagendo in  un' osmosi evidenziata dall'autrice con esiti felici. 
Infatti, il romanzo è accattivante, non solo per i temi trattati, ma per il congegno riuscito che ne fa una "macchina" perfetta. 
Gli episodi si snodano, capitolo per capitolo, incollando il lettore alla pagina che sembra di trovarsi fra quei personaggi, recependone le caratteristiche, gli umori, le paure e i dubbi. La delineazione dei vari personaggi a "tutto tondo", consente di anticiparne le azioni, sicché quando le troviamo esplicate nelle pagine successive, non restiamo per nulla sorpresi. 
L'intreccio degli eventi coincide con la fabula e i titoletti dei capitoli, altra scelta felice, permettono una ricostruzione della trama. 
Le tecniche linguistiche ed espressive utilizzate dalla Gravina rimandano al narratore onnisciente, come nei romanzi storici e della tradizione classica e ottocentesca. L'uso di  periodi con  poche subordinate ci regala una prosa fresca, di agevole scorrevolezza, mediante la quale il lettore viene edotto su tematiche complesse, senza mai sbadigliare e, soprattutto, senza stancarsi. Accenti di prosa poetica, a mio parere, si notano nei momenti descrittivi  dei paesaggi e della natura che interrompono momentaneamente il flusso della storia e della narrazione, facendo irrompere la bellezza, nel suo variare, dei monti, dei fiori, del mare e del cielo. 
Altro elemento importante è la scelta dei dialoghi frequenti, dialoghi che danno il massimo espressivamente, quando la scrittrice ricorre al dialetto, tanto cilentano, quanto laziale. Sono così ben costruiti che sembra sentirli parlare, veramente, fra loro i vari personaggi. Il lessico, in questi casi, è pittorico, preciso e ricostruisce molto bene il contesto antropologico della comunità, così da farci capire alla perfezione, non solo la mentalità, ma come ci si nutre, come si mangia, come  ci si veste, come sono fatte le  abitazioni dell'epoca, sia che si tratta di palazzotti, sia di dimore povere di contadini. Si ha l'impressione di vivere e rivivere certe situazioni proprio perché l'autrice ha fatto le cose con lo scrupolo dello studioso meticoloso e serio. 
Si coglie la fatica della ricerca che poi si trasmette nei fatti narrati, dove ogni dettaglio non è mai fuori posto, dove niente è approssimativo e fallace. 
La Gravina ha scritto un romanzo storico sapendo che la scelta di questo genere letterario richiede impegno e studio, fatica e sudore, ma tutto diventa meno faticoso quando si ha il piacere e la convinzione di ottemperare a desideri e di raggiungere obiettivi audaci e il lettore non fa altro che trarne vantaggi. 
Un libro, quindi, scritto con amore; quell'amore per le proprie radici che si conservano nell'intimo e che si sente l'urgenza di trarre fuori in ogni modo, rievocando la parlata locale che nutre e forgia, rielaborando leggende e riaccendendo le tradizioni che ancora permangono in molti paesini meridionali, anche se non del tutto integre, nella società del nuovo millennio. 
Un romanzo dove le luci e le ombre di un secolo lontano vengono proiettate sul presente, ricordando il male e il bene di un'età che nel dare il peggio di sé, ci offriva le basi della modernità, basi scientifiche, solide che rivoluzionano quei tempi. 
L'autrice, senza ostentarla, ci mostra la sua solida cultura, impregnata della classicità greco-romana; ci offre il suo "olimpo" dove regnano i grandi, dando a chi legge l'opportunità di avere contatti con Aristotele, Sant'Agostino, Galileo, Cartesio, tanto per citarne soltanto alcuni. Ci fa "passeggiare" con gli umili, con i popolani e gli aristocratici, con l'ecclesia. Ci fa vedere la faccia peggiore di una Chiesa malata e corrotta, dura e inflessibile e ci fa intravedere il suo risanamento, seppure mediante una profezia enunciata nel libro, che fortunatamente, si è realizzata. Un auspicio che diventa realtà. 
Un libro solido, che in chiusura, porta il lettore ad un colpo di scena finale che rafforza l'impianto dell'intera struttura, in maniera tale che ogni puzzle si incastona per completare un brillante"mosaico".

Occupiamoci del romanzo. Relazione di Tiziana Colusso


Presentato a Cerveteri il 23 aprile alla Sala Ruspoli nell'ambito del Progetto Le parole del dialogo, organizzato da Carmen Petrocelli per la Giornata Mondiale del Libro. 
Relatrice Tiziana Colusso, scrittrice, la quale ha toccato punti importanti e fondamentali per la comprensione del romanzo.

Ecco i suoi appunti sulla relazione

Luciana Gravina “Ginestre e libri proibiti”, Onereededizioni, Milano, 2016


La vicenda in parte vera e in parte verosimile narrata di Luciana Gravina è ambientata nel Cilento, una terra aspra al confine tra Campania e Lucania, dove le vicende umane sono incorniciate  ma anche tenute a bada da una natura più che presente.
La natura – con i suoi  ritmi irriducibili e irresistibili – è rappresentata dai fiori profumatissimi ed eclatanti della Ginestra, fiore tra l’altro di forte ascendenza leopardiana. Come nel poemetto Leopardiano, la natura (simboleggiata dalla testarda resistente ginestra) resiste al tempo e alle catastrofi, e al crollo delle civiltà.
Così, dell'uomo ignara e dell'etadi/ Ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno /Dopo gli avi i nepoti, /Sta natura ognor verde, anzi procede /Per sì lungo cammino, /Che sembra star. Caggiono i regni intanto, /Passan genti e linguaggi: ella nol vede: / E l'uom d'eternità s'arroga il vanto. (G.L)
Questa tonalità leopardiana, insieme dolente e “panica” , nel senso di sentimento panico della natura, un’empatia profonda e quasi una fusione che va al di là delle metafore per diventare quasi uno slittamento intuitivo tra il sentire umano e vegetale.
Del resto le recenti scoperte della “neurobioogia vegetale” sembrano confermare la presenza di un’intelligenza vegetale, certo non intelligenza nel senso umano del termine, ma nel profondo senso di empatia collettiva e risposta ai ritmi della vita e dei fenomeni cosmici.
All’interno di questo quadro naturale, le vicende degli uomini si dipanano in una narrazione densa e tesa, ambientata nel Seicento, secolo fecondo di idee ma anche caratterizzato da una forte repressione, soprattutto da parte del’Inquisizione, strumento di una Chiesa che mal tollerava i pensatori liberi e nuovi che iniziavano a mettere le basi del pensiero moderno: a partire da Galileo Galilei, vissuto a cavallo tra 500 e 600, uno dei padri fondatori della scienza e della filosofia moderne. Il libro narra anche dei libri dei mistici e degli eretici, e dei movimenti religiosi considerati eversivi, come quelli del Cristianesimo pauperista o del movimento essenico.
Ma il libro di Luciana Gravina non è un trattato, e riesce a far piacevolmente filtrare tutto questo tormentato sommovimento spirituale e  culturale attraverso una narrazione piacevole e piena di colpi di scena, incentrata sul percorso diremmo oggi “di consapevolezza” di un prelato intellettuale di campagna, don Biagio Gravina, personaggio fittizio che l’autrice immagina essere un suo lontano avo.
Attorno a Don Biagio, gravitano come pianeti di un complicato universo, sia personaggi storici che personaggi inventati: sono personaggi storici (come la stessa autrice sottolinea in una nota finale) i vari alti cardinali e funzionari della Chiesa conservatrice e repressiva dell’epoca, così come sull’altro versante la Regina Cristina di Svezia, sovrana illuminata e protettrice di pensatori al limite dell’eresia e dei loro “libri proibiti” e messi all’Indice dall’Inquisizione. Gli altri sono personaggi inventati da verosimili e convincenti, come la “peccatrice”  Filomena, una Maddalena di paese.
La sfida di un romanzo insieme storico, filosofico e in qualche modo etnografico (il ritratto di tutto un habitat tra i paesi del Cilento.