mercoledì 27 luglio 2022
domenica 24 luglio 2022
L’antologia poetica di Onereed, con venticinque brani critici
L’antologia poetica di Onereed, con venticinque brani critici di Antonio
Lotierzo Montalbano- Pisticci, dopo Buonabitacolo-Torretta, Roma, con periodi a
Parigi: ecco le principali tappe della biografia di Luciana Gravina che è
poetessa ( o ‘poeta sperimentale’, per D. Maffia) e si lascia presentare da
Francesco D’Episcopo e Giorgio Linguaglossa in questo variegato, denso ed
elegante volume: Percorsi poetici e pretesti critici ( 1979- 2009),Onereed
ed.,Milano,pp.235,18 e.. D’Episcopo parla di una ’vocazione autentica e
assoluta’ che l’ha portata ad uno ‘sperimentalismo avido e ardente’ che può
rinviare fino ad un assurdo iperreale (alla Beckett) unito ad un ‘creativismo
semiologico’, produttivo di neologismi e parole inventate ( ma non
metasemantiche). Una poesia che va letta a voce alta, col sottofondo dell’adagio
in sol minore di Albinoni o con i violini e piano di Mozart conc.n.21 o, ancora,
con brani del Parsifal di R.Wagner, provate. Nella prima fase poetica (inclusa
sul carro ‘femminista’ di R. M. Fusco del 1980) ecco un racconto di paese :
“Passeggiata nel corso, andata e ritorno/ più volte; senza biglietto, signori,
si guarda./ Dall’arco alla fontana dove soffia il vento/ e la vita si vuole
perfetta come la morte./ Fino all’arco sotto l’orologio,/ passi consueti sul
porfido/ fin dove annega l’azzurro fumo della notte,/ dove i nostri destini
allineati / hanno la durata di un grido,/ vi cerco ogni sera l’astuta follia dei
lampioni/ e nell’oro falso mi fingo un timone.”(A folle uno, XX). Poi questa ‘
formalizzazione del magmatico esistenziale’ (D.Valli, che vi rileva
un’ascendenza simbolista) cambia ancora a partire dai frequenti endecasillabi de
‘La polena’ (del 1984), ’ simbolo dell’avventura umana’ e ‘metafora del
silenzio’, per assumere una posizione ‘mediana’ fra Sanguineti e una classicità
postmoderna (G. Mercogliano), racconto d’un’apolide il cui bipolarismo oscilla
fra i due campi della natura-realtà e dei segni-simboli. Più decisa poematicità
si registrò con ‘M’attondo il giorno’ (del 2004, con grafica di Vanni Rinaldi e
testi musicati dal M° Vincenzo Borgia), dove la versificazione ipermetra espone,
nella ‘deformezza della norma’ un’inclinazione filosofica “io sdoppiata e a
raddoppio, speculare di me, testimoniale del tu/ (altra me) a cui tendendo…”,
con cui tenta di ‘spraticare la norma’, di evidenziare il groviglio del mondo e
di tentare il ‘controllo del piccolo caos quotidiano”(M. Lunetta). L’acqua, lo
specchio, la spirale, la rotondità sono immagini con cui razionalizzare il
quotidiano, fino a ‘Rosso cavallo’ nel cui vigore linguistico si registra il
declino dei valori e delle certezze ( siamo immersi nel paesaggio
post-ideologico e nella desertificazione dell’umanesimo, ricostruisce Martina
Peloso). “rossi che ti assomigliano se anche il mondo dorme rosso/ a un’ombra di
carne. Cosicché rosso mi porti un vascello/ roco di vibrazioni solenni. Cosicché
rosso. E lo zoccolo/ batte, rojo batte all’antico fiore, red(i)vivo/ ad ogni
piccola morte, ad ogni viaggio. Rosso.”. Ancora diversa forma mostra l’originale
poemetto ‘Del senso e del sé’ (2006), dedicato alla ‘Dama con il liocorno’
(arazzi parigini del museo medievale di Cluny)(musicato dal M° Mauro Porro),
dove s’illustrano i cinque sensi e si chiude con il libero arbitrio; la
constatazione di una “vita mbruscinata nel mare insonne” con un “ quasto nostos
pendolare tra Torraca e Parigi”. Qui Gravina legittima la spiritualità del
corpo, perché il corpo che sente non è disgiunto dallo spirito e, quindi, la
persona, uomo o donna che ‘sente’, afferma la sua consapevole esistenza
nell’armonia dell’universo…condizione mistica”. Sembra un riporto da J. Bohme ed
invece è spia del percorso della Gravina che si è avvicinata alla filosofia
della Crescita personale e muta ancora le sue forme poetiche, si serve d’un
panismo unitario, figurato nella spirale, che è pure la forma d’un suo gioiello,
e la direzione va verso un ‘infinito presente’, che è un augurio per noi tutti,
il raggiungimento del chakra, della ruota, forse anche arcolaio induista, sui
cui punti si registra l’incontro fra il sé e il mondo, con equilibrio e
pacificazione fluida (R. Melanconico) e infatti ascoltiamola: “ Rimediarla la
vita, jamais, ma di / riappropriazione dico, perché quisqueciascuno è / fabbro e
averla fra le mani… / annegare i deliri, sfrangere le paure del poi, risistemare
il / prima, a luce di fresca nascita di un infinito presente “. Ricompattare il
caos, ecco il progetto, anche attraverso una poesia di corpo e di pensiero, in
maniera da ripristinare la vitalità ed ottenere l’equilibrio della persona (
Anna M. Vanalesti, 2012). Questa teleologia di vita continua ad esprimersi in
una forma mistilinguistica, con l’ottativo del desiderio e l’oltranza (Claudia
Pagan: “ potessi spalmare / questo tremore illuminato (…) mi piacerebbe cambiare
/ strada prossima allo sbaglio (…) corcare / l’attimo afferrato benché fuggente
e vivìrlo di fresco questo/ smottamento del cosidetto amore…”. Infine, il
poemetto (della bambina con) “Il fiocco in testa “inedito, impreziosisce questo
stratificato volume in cui lo sguardo disnuda il bianco silenzio, il mutismo
della condizione femminile nelle società patriarcali, l’incomunicabilità delle
emozioni: “Cantavo sottovento in fuga. Il / fiocco in testa non si conosceva
deciduo. I muli squassavano/ le sonagliere. Disegnavano la…..biografia della
piazza”. Rinvio il lettore ai puntuali commenti di Valentina Nesi e Filomena A.
D’Alessandro. Nella postfazione, Linglaglossa inserisce l’intero e diversificato
percorso poetico della Gravina nelle linee italiane, dal predominio finale della
neoavanguardia alla crisi degli anni Novanta, quando la post-ideologia rivela il
declino dei valori e dei codici della tradizione umanistica e qui la Gravina
declina una “dizione sperimentale che recepisce la crisi dell’io e la crisi
della forma-poesia ricevuta…”. Gravina è dentro il tema della crisi della
forma-poesia; evita le poetiche del ripiegamento; devia dal minimalismo del
quotidiano; divaga da impegni sociali di una scrittura di protesta e tenta il
sentiero della dismetria, a volte ironica, affondando il periscopio nella
materia stilistica, fusa con una ‘poesia corporale’ distillata fra pressione
esistenziale e sorgività del canto, che tritura memoria e angoscia. In tale
maniera la ‘krisis’ è entrata all’interno della parola poetica, che allestisce
una propria scenografia linguistica, in cui si recita la scissione fra il nome e
la cosa, fra il soggetto e il linguaggio, in maniera drammatica e forse
irresolvibile, almeno per la nostra generazione.
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