Nelle opere di Salvatore Giunta c’è una precisione quasi ossessiva, dove neanche un
millimetro e neanche un segno sono lasciati al caso.
Dovrebbe tranquillizzare la bellezza di uno spazio dove tutto è costruito secondo un
progetto, dove linee, forme, evidenze cromatiche, contingenze materiche riabilitano
il caos, non foss’altro per la resa estetica, risultato estremo della fusione di esprit de
finesse e di esprit de géométrie.
E invece, dietro lo sguardo, la mente parte per viaggi di linee rette o curve, di
eleganti angoli acuti, di graffi e di bugnati, di imperturbabili piccole sfere a reggere
equilibri incuranti del baricentro.
Che si tratti di sculture o altro, esse vivono il sogno di forme insofferenti che
sbottano spesso da un foglio e si offrono in tagli, pieghe, esplosioni di geometrie
asimetriche.
Sono opere da guardare in silenzio, respirando piano, come se il fiato di chi è al fuori
potesse infrangere la pareti di cristallo del loro bunker semantico ou tous se tient,
dove lo spazio liquido che le contiene sembrerebbe volerne fare un suo ostaggio
immobile.
La mente viaggia verso orizzonti misteriosi dove si accendono altri dubbi e altri
quesiti attraverso cui la vita consapevole avviene.
Intriga e inquieta l’incessante dinamica di luce e ombra che, tra la forma e il gesto,
svela una semantica di prospettive, a volte piccole, ma pronte, come in agguato, ad
attaccare dormiveglie emotive, disincanti psicologici, sogni in dismissione.
Dove l’indagine, l’espressione e la consapevolezza dei lati oscuri dell’io, accende di
valenze l’ombra che non sembra essere percepita come negazione della luce, ma
come alternativa possibile, come presenza attiva di esistenza, consustanziale
all’essere.
Qui l’ombra spia e sorveglia la luce in una dialettica solo apparentemente effimera,
perché segna e incide nella coscienza dell’essere in quanto permanente gioco
metaforico di pieni e vuoti, eros e tanatos, vita e morte.
In questo gioco l’ombra assume un ruolo primario, quasi primitivo, che scansa le
tensioni degli antichi (“Epameroi. Esseri della durata di un giorno. Che cosa siamo?
Che cosa non siamo? Sogno di un ombra l’uomo.” Pindaro Pitica VIII), saltando a piè
pari anche Masaccio, considerato il primo artista in cui appaiono le ombre e che
attribuisce all’ombra una funzione salvifica come nel dipinto San Pietro risana i
malati con la sua ombra, ma si colloca in una dimensione moderna, illuministica
ancorata alla materia, forse alle sue vibrazioni.
Forse la forma visibile è vista come emanazione energetica delle vibrazioni
dell’ombra. La materia è energia sostiene Einstein. L’ombra dunque è materia
informe da cui si dipartono energeticamente segni e sostanze. Cioè segni e
significati.
Salvatore Giunta sembra esserne consapevole al punto che titola, non solo alcune
sue opere, ad esempio, Sculture d’ombra, Fughe d’ombra, ma anche una sua
mostra, “Ombre”, 10 acrilici ispirati alle poesie di Clara Janes e Carla Vasio.
Calato nella sperimentazione come nel suo status naturale, Salvatore Giunta dialoga (o combatte?) con materiali diversi (metallo, carte lavorate, sabbia, plexiglas, inchiostri, fili, plexiglass) e attraversa ambiti di competenza conniventi (pittura, istallazioni, scultura, libri d’artista, video, cortometraggi), maneggia la diversità degli strumenti e delle conoscenze con una naturalezza congeniale, ma che è anche alimentata da una professionalità cólta, ancorata a contatti di studio privilegiati quali con Caporossi, Purificato, Turcato, Portoghesi, Zevi, Perugini.
Galleria
https://youtu.be/ZGYfnWYAkAM