Percezioni
Hic proprio qui dove l’inizio e la fine squiquano e sfinano,
spersi. Qui a inizio e fine sdentrati avviene d’essere a
illusione di infinito e a non luogo, perciò fermi ci
smottiamo a percorrere l’universo: di pensiero, dico. Hic
dove la vita avviene. Nunc, proprio ora dove il tempo si
addensa in percezione e in globuli di fibre rimanda per
l’enèrgheia, il flusso permanente e più volte inconnu,
irrisolto, sdragato.
Fu quando mi
sedusse la luce come un fiume di sabbia luminosa a discesa
e a cascata dietro le palpebre e ancora mi inonda infilandosi
al petto, nel chakra cosiddetto del cardias. E io spietata
nella mia incredulezza a spiarlo dubbiosa questo fiume,
questa dilagazione di luce multicroma che ad apertura di
chakra, appunto, ogni volta avviene a palpebra chiusa e se
aperta mi si attacca alle mani, ai palmi e ai bordi.
Cosicché è l’io che attracca sfrantato e si addimora nel
contorno di liquido sfocato che si sdrama alle mani, ai
palmi appunto.
Una volta fu di bellezza, finesse, lo spirito voglio
dire e talvolta quasi a sfida di geometrie. O di entrambi,
ancipite insomma.
Transeunte,
passeggero, caduco, come suol dirsi, mi pare ora, nunc,
appunto, ma allora apparvemi il tutto, l’essenza, la pienezza,
non il refolo dell’hic, di quando il tempo prigioniero
si cammina dimidiato tra passato e futuro.
Avessi spersuaso l’occhio alla
crudezza eunte del biondo capello, della sottigliezza al
fianco esperta, strafilata sul nunc. Avessi di sradicata
pietà delle pietre nei profili delle fiaccole dove
l’ultimo rosso si assiepava, sulla siepe, appunto, di
frastagliate compiutezze credute totali, del ventre annidato
tra le pupille sazie, tra i sorrisi degli incubi, avessi
stramato appena la dicotomia triplice del tempo così
inconcluso tra passato e presente spesso anche a futuro
orbitato se in fantasma la mente si metteva a sogno.
L’avessi appunto
auscultato questo concerto n.21, Mozart permettendo, non
con le auricole fisiche sotto le mani e a vedersi anche per
occhi, ma con la pelle per vibrazioni convenute a
velocità non intercettabili, a vibrare, appunto, in tutti i pori,
dico tutti, dilatati per la spietata penetrazione a
sussulto estorto dalla testa alle ultime estremità nel corpo
dilaniato a percezione dal fondo, e funditus, per
incontrollabili deliri.
Lo avessi
auscultato, appunto, attraverso la pelle. Ma io,
maintenant, io a credere che l’esprit fosse appunto de finesse, al
limite, de geometrie, magari entrambi per una testa ancipite,
come già, bel viso, anche, d’una compiutezza, così mi
sembrava, ou tous se tenait, dove la svasatura del rischio sotto
controllo si glissasse egli medesimo sine cura.
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