Antonio Lotierzo
Intorno a “Del senso e del sé” di
Luciana Gravina
Pubblicata nelle Edizioni
ArtEuropa, nel 2006, quest’ultima opera di poesia di Luciana Gravina si rivela
di una doppia creatività: l’una suggerita dal confronto e dall’interazione con
un arazzo parigino, l’altra lirica e ricognitiva sui significati di un ritorno nei luoghi
meridionali.
Tutta la prima parte è un’intensa
relazione mentale e poetica che la
Gravina istituisce con gli arazzi della
Fiandra che hanno per tema “La dame à la Licorne”, relazione che sempre tanti
poeti hanno stabilito con un tema pittorico e dal cui confronto è scaturita una
poesia eccellente (si pensi, per restare a Parigi, a Baudelaire).
Ma qui la relazione è più
profonda ed è di natura simbolica, per la carica di ambiguità che gli arazzi
contengono e le pluriespressive valenze cui rinviano, verso l’alto e verso il
basso.
Dirò subito che, intesa in tale
direzione, l’intera operazione poetica della Gravina si configura come un
percorso alessandrino e calligrafico, come un pezzo di bravura, come un
intarsio barocco di parole che riavvolgono i fili di una vita qui estremamente
rarefatta.
In una premessa che vale da
commento e guida ai testi, la Gravina ripercorre la rappresentazione degli
arazzi, che verte sui cinque sensi, mentre il sesto appare ispirato al libero
arbitrio (“Al mio desiderio soltanto”). Sono noti arazzi del Cinquecento, in
cui una nobildonna illustra il piacere dei sensi, a cui, tuttavia, ella stessa
non pare cedere, quasi astenendosi dal vissuto.
Sembrerebbe un percorso
iconografico di tipo neoplatonico, del tutto opposto al sanguigno pulsare delle
indagini di un Montaigne. Anzi, parlare del liocorno ci rimanda ancora più
indietro, al bestiario medioevale ed ai poteri connessi a tale animale
(fantastico, direbbe Borges).
La Gravina sottolinea che qui una
donna tiene a bada le passioni, esprime la perfezione della rinuncia, la gioia
della sublimazione ma tuttavia non è una Madonna, non rivolge al sacro la sua
vita ma sembra voler godere e gioire di piaceri inusuali, quelli
dell’immaginario. E tuttavia siamo nel polo apposto a un “giardino delle
delizie” di H. Bosh e lontanissimi dalla carnalità del comico.
La Gravina, nella sua mente
creativa, si mette ad interagire con tutta questa materia simbolica,
operando un confronto fra la cultura del
corpo dell’arazzo e la valutazione positiva del corpo come equilibrio tra
individuo e natura (il tema venne discusso, ad es. dall’educazione estetica da
Shiller e Marcuse, ed è stato ripreso da U. Galimberti).
Mentre il presente dei nostri
vissuti è così dilacerato e morsicato, nelle poesie della Gravina si ritrova un
corpo armonizzato con lo spirito, viene resa presente l’armonia dell’universo,
secondo una condizione mistica che era degli gnostici, prima che di Plotino.
E’ da questo crogiuolo di
ideologia che la Gravina lascia precipitare la sua versificazione, è lei che,
pertanto, risponde alle stesse caratteristiche degli arazzi, perché la poetessa
diventa il liocorno, è lei che si specchia con le sue brame, adoperando la
vista come il senso mirato per trascendere verso Dio, un Dio che è
innamoramento e desiderio più che amore e possesso quieto.
La Gravina tende verso l’”oltre”, ma affina il mirare, giungendo
alla visione di Dio, appagante e risolutiva delle differenze che scompaiono nel
mistico amalgama..
La poetessa si lascia
attraversare dal suono che sottopelle l’attraversa, portandola a confondersi
panicamente con le cose (questa dimensione panica è relazionabile, forse,alla
“Pioggia nel pineto”, tentativo altrettanto riuscito di muovere le parole a
musica).
Con assonanze (giusto/gusto) si intreccia la bocca ad
assaggiare situazioni marine e sofferte assenze di movimenti.
L’odorato consente di entrare,
con uno squarcio caravaggesco, in una dimensione realistica, la pura e fedele
resa di una cronaca parigina di dialogo fra tassista e viaggiatrice. L’odorato
è una guida per raggiungere la casa. Verso Montmartre; è col fiuto che si
scopre la pioggia, un umore in cui lasciare camminare la propria esistenza.
Poi viene il tocco, le carezze di
seta, l’indugio delle mani fra i capelli, lo scavo che “di profondo prende”.
E nella nuova assonanza “resta quella ressa” si coniuga il “con/tatto”, anche del “ricordo/ suo che mi tiene” e si
precipita verso un verso, se non petrarchesco, certo classicistico, un
decasillabo, credo, di suadente ritmicità: “Ora
che odo e vedo e di profumo”, che è un buon esempio di questa scrittura
controllata e ambigua, che ha capacità di rinviare ad indefinite sensazioni,
più che di esprimere univocamente, come il “vizio
della conta”.
Nello spazio successivo, (A mon seul désir), con il determinativo
“ora”, riesplode l’ora del desiderio
e l’alchimia del dolore, da cui ci allontaniamo fissando i gioielli che si
separano dal corpo e cerchiamo di rientrare in noi stessi (ricondurre “il sé disperso e sé).
E con un gioco di rinvii e
riprese, sia da Saffo e sia dal Cantico dei Cantici, la Gravina intreccia
l’ultima e più lunga poesia degli arazzi.
Si giunge così alla diversa
scansione, ai versi de “I sensi del
nostos”, in cui si ritorna alle brume di Policastro, che però la Gravina
lega alle composizioni parigine attraverso un continuo “anche qui” ed il rientro del migrante è rimugino della fuga e del
contrasto del vivere.
Con un solo lessema dialettale,
la Gravina riecheggia la “vita mbruscinata”,
quel necessario macchiarsi, sporcarsi con i compromessi che è proprio della
quotidianità nostra, del modo con cui ognuno mastica e rimastica la vita
stessa.
La poetessa si riprende il Sé,
tollera la pace che le è concessa, ma s’avvede, con dolore stupefatto, della
dissipazione inevitabile che è contenuta in ogni esistenza.
Con questa quinta raccolta la
Gravina arricchisce il mosaico delle sue proposte e continua la scelta di un
linguaggio sperimentale, che si sa piegare all’espressione pura che è della
poesia del nostro tempo, non senza corredare i testi di classici rinvii (ad es.
anche della Didone virgiliana) e con la consapevolezza che fine della poesia è
anche la meraviglia della tessitura, quasi come per un arazzo.
21.11.2006