Cara Valentina,
Ti ringrazio per l'attenzione che hai dedicato al mio ultimo libro di poesia.
Credo che hai colto nel segno per sensibilità e per conoscenza delle strutture poetiche.
Di nuovo,grazie.
Pubblico in questo blog il pezzo di Valentina che è uscito nel n.del 25marzo2012 del Metapontino.
Luciana Gravina: 'Infinito presente', l'equilibrio del sé
Viene difficile da raccontare, “L’infinito presente”, a chi non
lo dovesse ancora aver letto; ma, come sottolinea Rino Malinconico,
curatore della raccolta, sono liriche che “chiedono”, soprattutto, di
essere ascoltate.
Sembra d’obbligo citare il parallelismo da egli
stesso utilizzato: “e’ come un buon jaz, i cui fiati prolungano lo strazio infinito della solitudine”.
Simmetria centrate in pieno, non solo per la comune appartenenza di
entrambi, a un genere di nicchia, quasi elitario, ma anche e soprattutto
per l’intensità della carica espressiva, per dirla alla Tateto, per
l’ineffabilità di quel sentimento, qui colto e rimaneggiato.
L’autrice, Luciana Gravina, una delle voci più risonanti nel panorama del neospe-rimentalismo
poetico, viene meno a ogni convenzione linguistica, creando un nuovo
linguaggio nel quale pone al centro della scena le parole. Queste
stanno a connotare significati inusuali, evocativi; i numerosi
neologismi, emblema di audacia espressiva, ne lasciano intravedere la
rarefazione del lessico. Un fitto tessuto di figure retoriche
costituisce l’intelaiatura di questo canzoniere. Un po’ petrarchista,
proprio per il richiamo all’eleganza acustica, un po’ marinista, per la
prepotente energia sprigionata da ogni singolo lemma; lo zenit di
questa raccolta è senza dubbio il poemetto “Percezioni”.
In questo , il tema viene dilatato ma non esaurito; vero è proprio
manifesto programmatico, svolto sotto forma di racconto, come
nell’illustre antecedente verghiano “Fantasticherie”. “L’infinito
presente”, edito AltrEdizioni è racchiuso in cinquantaquattro pagine,
quindici componimenti che portano Luciana Gravina, di certo, non
inesperta scultrice del verso, a proseguire nella sua intima e personale
ricerca poetica lungo “infiniti rivoli”, verso quegli obiettivi che
ella stessa si era proposta: la radicale rottura con le tradizioni
poetiche passate e l’inaspettato raggiungimento, anche se precario,
dell’equilibrio del sé.
Valentina Nesi
Aggiungo il testo a cui Valentina ha fatto riferimento.
Percezioni
Hic
proprio qui dove l’inizio e la fine squiquano e sfinano, spersi. Qui a inizio e
fine sdentrati avviene d’essere a illusione di infinito
e a non luogo, perciò fermi ci smottiamo a percorrere l’universo:
di pensiero, dico. Hic dove la vita
avviene. Nunc, proprio ora dove il
tempo si addensa in percezione e in
globuli di fibre rimanda per l’enèrgheia,
il flusso permanente e più volte inconnu, irrisolto, sdragato.
Fu quando mi sedusse la luce come un fiume di sabbia luminosa a discesa
e a cascata dietro le palpebre e
ancora mi inonda infilandosi al petto,
nel chakra cosiddetto del cardias. E io
spietata nella mia incredulezza a spiarlo dubbiosa questo fiume, questa
dilagazione di luce multicroma che ad apertura di chakra, appunto, ogni volta
avviene a palpebra chiusa e se aperta mi si attacca alle mani, ai palmi e ai
bordi. Cosicché è l’io che attracca sfrantato e si addimora nel contorno di
liquido sfocato che si sdrama alle mani, ai palmi appunto.
Una volta fu di bellezza, finesse, lo spirito voglio dire e
talvolta quasi a sfida di geometrie. O
di entrambi, ancipite insomma. Transeunte,
passeggero, caduco, come suol dirsi, mi
pare ora, nunc, appunto, ma allora
apparvemi il tutto, l’essenza, la pienezza, non il refolo dell’hic, di quando il tempo prigioniero si
cammina dimidiato tra passato e futuro.
Avessi spersuaso l’occhio alla crudezza eunte del biondo capello, della
sottigliezza al fianco esperta, strafilata sul nunc. Avessi di sradicata pietà delle pietre nei profili delle
fiaccole dove l’ultimo rosso si assiepava, sulla siepe, appunto, di
frastagliate compiutezze credute totali, del ventre annidato tra le pupille
sazie, tra i sorrisi degli incubi, avessi
stramato appena la dicotomia triplice
del tempo così inconcluso tra passato e presente spesso anche a futuro orbitato
se in fantasma la mente si metteva a sogno.
L’avessi appunto
auscultato questo concerto n.21, Mozart
permettendo, non con le auricole fisiche sotto le mani e a vedersi anche per
occhi, ma con la pelle per vibrazioni convenute a velocità non intercettabili,
a vibrare, appunto, in tutti i pori, dico tutti, dilatati per la spietata penetrazione
a sussulto estorto dalla testa alle ultime estremità nel corpo dilaniato a
percezione dal fondo, e funditus, per incontrollabili deliri. Lo avessi
auscultato, appunto, attraverso la
pelle.
Ma io,
maintenant,
io a credere che l’esprit fosse
appunto de finesse, al limite, de geometrie, magari entrambi per una
testa ancipite, come già, bel viso, anche, d’una compiutezza, così mi sembrava,
ou tous se tenait, dove la svasatura
del rischio sotto controllo si glissasse egli medesimo sine cura.
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