martedì 23 agosto 2016

Il testo della settimana - La casa col vento in poppa


















La casa col vento in poppa

“Si va in poppa” mia madre commentava dalla  cucina mentre una folata pazza sbatteva le imposte del balcone dall’altra parte della casa.
Mia zia si era innamorata per l’ennesima volta e

passava da un balcone all’altro, cioè da un capo all’altro della casa per affacciarsi e mostrarsi al giovanotto (si fa per dire) che nel passeggiare passava prima sotto uno e poi sotto l’altro balcone della nostra casa.
Lui lo sapeva e ogni volta che aveva a vista il balcone alzava vistosamente la testa per darle segnale che la stava osservando. Lei coglieva questo corteggiamento e si esaltava. L’ultimo dei suoi pensieri era chiudere le imposte nei passaggi da un balcone all’altro che, essendo in perfetta corrispondenza, innescavano una corrente d’aria che faceva sbattere di tutto. Cosicché la casa navigava e volava, volava e navigava. 
Era come una nave col vento in poppa. E mia madre sfaccendava e ripeteva: “Si va in poppa”.
Durava da almeno sette giorni, da quando cioè lui era tornato dalla città. Militare di carriera in pensione, vedovo: aveva deciso di risposarsi e Maria andava proprio bene.
Anche Maria era in età: formosa, scocchette rosse, quel tanto di cura che non andasse oltre un accurato acqua e sapone ma disattivasse il concetto di cafonesca sciatteria.
Bella coppia, nel complesso il paese approvava e anche la casa col vento in poppa e anche mia madre in fondo questa cognata così zitella che un giorno era innamorata di quelli che la richiedevano e il giorno appresso già non li voleva più. 
Per fortuna questa volta sembrava aver perso proprio la testa e pazienza se si andava in poppa che non era solo una questione di vento: era che  si moriva di freddo. Era marzo.
Anche mio padre era d’accordo: cosicché nel pomeriggio usciva in piazza e lo incontrava e cominciavano a passeggiare da Spadarea alla Fontana Nuova avanti indietro fino al tramonto inoltrato consumando le scarpe e la strada e passando sotto i balconi. E non lo mollava: se aveva serie intenzioni doveva dichiararsi prima a lui che era il fratello. 
Doveva stare molto attento perché correva voce di un’amante in città e di una figlia illegittima: doveva stare molto attento.
Era disposto a passeggiare fino allo sfinimento: prima o poi si sarebbe dichiarato.
Senonché neanche al settimo giorno mio padre aveva portato a casa la dichiarazione di Emilio.
L’ottavo giorno era domenica e le dinamiche cambiavano perché si andava a messa. In verità in chiesa si andava tutti i giorni, due volte al giorno, ma la messa della domenica era un’altra cosa. Innanzitutto spesso era cantata con l’organo e con lo sparuto coro delle voci femminili (tra cui la mia), che a volte partivano tutte insieme bene intonate, ma spesso no. Quando il kyrie cominciava a diffondersi dall'alto dell'organo indipendentemente dal la, accadeva che ognuna di noi cantava per conto suo: eppure Caterina, che era sorda ma aveva l’orecchio assoluto, il la lo intonava proprio bene.
E poi la domenica c’erano i vestiti della festa. Quell’anno era scoppiata la moda del vestito a sacco che era un vero e proprio scandalo. 
Insomma le donne si permettevano di eliminare le pinces che consentivano di evidenziare il seno e la vita e di camuffare in un vestito a forma di sacco le forme fondamentali del corpo che gli uomini, sia pure attraverso la stoffa e le pudiche scollature e le maniche adeguatamente al gomito,  avevano il diritto di vedere e valutare.
Tra i detrattori della moda del sacco c'erano anche molte donne. Anche loro avevano il diritto di valutarsi vicendevolmente e di criticarsi ferocemente.
Così i talebani nostrani avevano ingaggiato la guerra a questa moda rivoluzionaria e indecorosa. 
La prima ad esibire il sacco era stata la prostituta che abitava sulla curva di San Martino e si chiamava Mariaerobbamia. 
Questo aveva legittimato l’ostracismo alla moda del sacco per tutte le ragazze per bene.
Pasquina non era più una ragazza, si metteva il rossetto e lo smalto rosso alle unghie, portava capelli corti, tinti e con permanente, ed era abbastanza in carne per poter essere definita una bella donna. Era zitella, chiacchierata con moderazione, abitava nella casa attigua aalla nostra e a volte con mia zia Maria erano anche amiche.
A Pasquina non importavano le chiacchiere di paese e così era pronta a sfoderare il suo vestito a sacco di lino giallo da indossare con giacca di lana blu perché faceva ancora un po’ fredddo.
Otto dopo otto (giorni), si era arrivati alla domenica delle palme.
Il rituale si era svolto secondo tradizione. 
Pasquina con vestito giallo della festa, il quale per l'occasione era stato confezionato a sacco e corredato da  giacca blu, zia Maria con tailleur color verde oliva su camicetta di seta di un verde un po’ più scuro, messa cantata passabile, stonato soltanto il Sactus, mentre il Kyrie, il Credo, e l’Agnus decisamente meglio, lettura del Passio lunghissima, scambio delle palme e, dopo le chiacchiere, gli uomini sul sagrato e le donne a casa a occuparsi del pranzo, Zia Maria ai balconi, Pasquina alla finestra della sua casa. 
Non erano male nella loro recondita armonia di bellezze diverse. 
Avevano abbandonato le postazioni soltanto per il pranzo. 
Erano tornate col boccone ancora in bocca.
Proprio da quella finestra gli aveva fatto cenno. Emilio aveva un po’ affrettato il passo. Mia zia aveva sentito chiaramente Pasquina che lo invitava a salire per prendersi un caffè, e aveva visto coi suoi occhi lui che imboccava le scale e varcava veloce il portone guidato dal sorriso smagliante appostato a quella finestra. 
Soprattutto non aveva levato vistosamente la testa verso Maria per far vedere che la guardava. 
Il portone aveva ingoiato Emilio e si era richiuso pesantemente così come si era richiusa la finestra.
Maria era rimasta con gli occhi incollati su quel portone e aveva sentito le forze mancarle. Si era appoggiata alla ringhiera per ascoltare quel galoppo di protesta sotto lo sterno. 
Poi era rientrata mentre la casa, che non capiva e non voleva capire, volava e navigava, navigava e volava ancora. 
Mia madre non aveva più detto: “Si va in poppa”. 

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