Un intervento che rivela la qualità del relatore, Marcello Carlino, per la complessità delle osservazioni, per il metodo accademico con cui il romanzo è stato vagliato, per la cultura dei riferimenti.
Affido a questi appunti sparsi alcune considerazioni su
“Ginestre e libri proibiti” di Luciana Gravina, considerazioni che avrei svolto
e ulteriormente argomentato a braccio, tentando di coordinarle in un discorso
organico e compiuto. Procedo per paragrafi, ciascuno dedicato ad un elemento da
me ritenuto nodale dell’opera.
1)
Il romanzo risulta da un misto di storia ed invenzione.
Il richiamo ad alcuni protagonisti della storia culturale del secondo Seicento
– Cristina di Svezia e il suo cenacolo, Bernini – conferma la puntualità dei
riferimenti e il loro ancorarsi alle vicende di politica e di cultura che hanno
caratterizzato la Chiesa e la società dell’epoca dell’ambientazione del
narrato. E pertinente al genere del romanzo storico, che implica un rapporto
stretto con il vissuto collettivo, è anche l’uso del dialetto, per la cui
restituzione e per la cui attivazione il lavoro di ricerca di Luciana Gravina
appare particolarmente accurato. Risalta così la verità dei personaggi, fatti
parlare nel loro idioma lungo tutte le aree mimetiche del romanzo.
2)
La quota di invenzione è altrettanto consistente. E
rende il romanzo uno spazio di intersezione di diversi generi narrativi. Non
soltanto la struttura attanziale è fatta di connessioni e di corrispondenze –
basti considerare i sentimenti d’amore provati da Biagio e da Giovan Giacomo per
Ludovica; o gli intrecci amorosi intorno a Filomena –, e non soltanto gli
intrighi, tra beghe di palazzo e matrimoni programmati e paternità dissimulate
e farisaismi curiali, rispondono ai canoni del romanzesco e rendono conto di
una felicità del narrare che riprende nei modi di una grande consapevolezza i
modelli del romanzo popolare; le mosse del romanzo giallo sono altrettanto
evidenti, ricavabili dal delitto nella parte finale dell’opera e dal furto del
manoscritto di Biagio, che non verrà mai più ritrovato.
3)
Se in questa chiave l’eredità di Manzoni è forte, non
possono essere taciuti alcuni intrattenimenti intertestuali che definiscono il
contesto letterario in cui si inscrive “Ginestre e libri proibiti”. La
tradizione delle storie legate all’inquisizione è certamente inscritta nella
genesi del romanzo (così, per richiamare una esperienza relativamente recente,
citerei i testi biografici, ancora tra storia ed invenzione, di Vassalli, tra
tutti “La Chimera”), ma nella “ostensione” del giallo non escluderei chiamate a
confronto di Eco (comune al “Nome della rosa” è il tema della censura fino alla
cancellazione di un libro di per sé portatore di scandalo, un libro appunto
proibito).
4)
Ma, dove le relazioni sopra ipotizzate sono da
intendersi generiche, più intenso mi pare il dialogo con chi, nel Novecento, ha
fornito un modello rilevante di romanzo storico (quello di Luciana Gravina,
come detto, è però un romanzo che opera una contaminazione dei generi): mi
riferisco a Tomasi di Lampedusa.
5)
Possono essere poste a fronte del “Gattopardo” alcune
descrizioni – e si guardi per esempio alle pagine iniziali di presentazione di
Biagio – nelle quali le cose, i vestiti, gli arredi sono ripresi nei dettagli.
Si ricava, in questi momenti, una poetica degli oggetti che riporta il fascino
delle cose invecchiate, sul punto di essere spazzate via dalla storia. Questo
senso aleggia lungo tutto il racconto.
6)
D’altro canto il titolo è un indice chiaro. Libri
proibiti segnala un tema che nell’opera ha valore e posizione primari; ginestre
– solo due o tre volte le ginestre sono richiamate nel romanzo e intanto
l’omaggio a Leopardi è palese – vogliono simboleggiare lo stretto
interconnettersi tra vita e morte che gioca coi destini dei personaggi. E
qualifica l’esistenza di tutti gli uomini.
7)
Un filo rosso della narrazione è pertanto la
malinconia. Tra perplessità, sentimento di una mancanza che condiziona la vita,
marginalità e libertà condizionata del pensiero, Biagio è un personaggio
malinconico. La sua estraneità confina con l’inettitudine. Biagio è un non
eroe.
8)
Come tutti coloro che non hanno la statura di eroi,
Biagio sta nel guado tra persuasione e retorica, è volto coperto da maschere,
stretto nella finzione. La figura che per antonomasia incarna la finzione è
Giovan Giacomo. “Ginestre e libri proibiti” è pure un romanzo della messinscena
della finzione su cui poggia il potere.
9)
La libertà di coscienza e, in tale prospettiva, i
movimenti del pensiero che non possono essere frenati e ingabbiati dentro i
sistemi dei dogmi e delle verità rivelate, “finte” dal potere, incatenano i
significati dominanti del romanzo. La Chiesa come istituzione culturalmente
anodina e reazionaria, che sopraffà l’uomo e produce soprusi e ingiustizie, è
la materia discussa polemicamente nei libri proibiti che Biagio si procura e su
cui riflette. Biagio è spinto da un’intenzione di conoscenza, che sopravanzi
schemi e convenzioni. In questa direzione, la sua è una ricerca che postula
un’utopia. Ma l’utopia è soprattutto pronunciata e sostanziata da coloro che si
fanno paladini di una religione che sia costruita sulle misure dell’uomo (ecco
evocata la figura del Cristo esseno) e ne chieda la liberazione: coloro che
agiscono accanto agli altri e con gli altri e sanno uscire dalla solitudine
fatta di privilegi che è tipicamente caratteristica di Biagio.
10) L’opera di Luciana Gravina schiera l’una
accanto all’altra e confronta una cultura aristocratica e una cultura popolare
e in quest’ultima rinviene una verità e una forza che si consegnano come
traccia, sia pure parziale e occultata, per un futuro possibile. Un futuro
fatto di speranze di cambiamento e di giustizia sociale.
11) Da un punto di vista sociale, comunque, i
segni di cambiamento si rinvengono, quantunque incerti, nella classe
aristocratica quando cosciente della sua crisi (così in Biagio che sembra
prefigurare una consapevolezza pre-illuministica) e più ancora, per quanto
considerato, in quella popolare. La borghesia è invece portatrice di gretto
oscurantismo e attrice di una sudditanza al potere della chiesa, propria di una
classe rampante, che si manifestano nella parte finale del romanzo (che ragioni
di opportunità impongono di tacere).
12) Mentre
Biagio esce di scena, confermando la malinconia che scorre nell’alveo
dell’opera, “Ginestre e libri proibiti” appare infine un romanzo al femminile.
Interpretano bene i segni del nuovo Ludovica, donna che sceglie di ricusare le
convenzioni, e soprattutto Filomena, la cui pienezza umana e la cui solare
generosità, aperta alla vita, costituiscono un tratto di fondamentale rilievo.
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