martedì 9 agosto 2011

"Cercando amore", di Livia Naccarato

Livia Naccarato, Cercando amore, Genesi, 2010


Questua d’amore e pratica del desiderio come valori universali.

Recensione di Luciana Gravina

Un compendio riepilogativo di tutta la propria produzione poetica, qual è questo volume, è sicuramente un’operazione coraggiosa e forse audace. Se è vero, come è vero, che la poesia coincide con la vita e ne è mera rappresentazione, questo libro esprime anche la volontà di fare il punto della propria vita.

Credo che sia questo il terreno su cui si gioca la provocazione a cui Livia Naccarato, poetessa contemporanea di tutto rispetto, ha inteso ricondurre la sua poesia, come in un processo di reindirizzamento verso la questua di amore come pratica del desiderio. (L’ho voluto tingere di rosso / il filo della mia vita / e non del rosso della violenza / ma di quello dell’amore. Da Il filo della vita, pagina 368)

Il titolo Cercando amore è quello della silloge del 1991, uscita per i tipi di La Sfera Celeste di Riccione, le cui liriche sono incentrate sull’amore inteso nella norma di interazione tra uomo e donna. Il topos che sottende i componimenti di quella silloge insiste sull’evidente rapporto tra desiderio e memoria. Se non avessimo i ricordi non avremmo storia e senza storia non sarebbe palesabile la nostra esistenza la quale, però, trova la sua spinta vitale nel reiterarsi costante del desiderio in quanto energia propulsiva verso il futuro. Desiderio e vita, dunque strettamente connessi in una matrice per cui trova legittimazione l’anelito che abbiamo già definito “questua d’amore”. La quale è destinata a essere inesausta ed in questa privazione dell’appagamento lievita la prima emozione di questa poesia.

Sicuramente si tratta di una poesia lirica che ha le sue ascendenze nella tradizione italiana, soprattutto novecentesca, ma che rielabora con eleganza anche suggestioni che alla poetessa giungono dalla lettura dei classici antichi. In “Non è amore”, per esempio, è presente, sia pure come antitesi, una sensazione dell’amore, non una definizione, tipica della concezione saffica della passione che scuote, squassa le membra. Non é amore, per Livia Naccarato, questo gioco oscuro di gesti / che improvviso ti scuote /come basso vento / su rada piana…………… non è amore / se resta senza ricordo (senza ricordi siamo nullità) se uno scatto di fantasia / non brucia l’essere / tutto avvampandolo…dove la dissoluzione dell’io si consuma nella dicotomia di non amore/amore, ma comunque è delineata in termini di drammatica violenza (scuote – brucia - avvampandolo). E nella stessa lirica il verso Non importa saperlo fa eco all’oraziano Scire nefas. Suggestioni, si diceva, e di bell’impatto.

La modalità di percezione è affidata alla sensazione, come ha messo in evidenza Antonio Piromalli, soprattutto nella complessità del mistero e nell’oscurità di alcuni aspetti della vita a cui inevitabilmente è connesssa la morte, nei risvolti inaccessibili alla ragione. Sensismo e sentimento sono i concetti su cui si è soffermato il Piromalli, appunto, intesi come strumenti di conoscenza e in evoluzione verso il sentimento: “Dal sensismo si trapassa al sentimento con dissolvenze continue, con richiami dalla percezione del presente al passato trasfigurato, all’umanizzazione del sole, dell’aprile. Senza tale percezione non ci sarebbe la necessità di costruire un muro tra sè e gli altri.”

C’è in questo sentire una coesistenza tra l’io profondo della poetessa e la natura, elaborata in un sapiente gioco di moderne dissolvenze (anche questo fa notare Piromalli) per cui si passa spesso dall’analisi dei sentimenti, degli stati d’animo, delle condizioni psicologiche alle visioni immaginifiche del mondo esterno in una simbiosi pressoché indissolubile. I passaggi sono determinati dalle similitudini e dalle metafore (Più non andrò all’albe / fiorite di luce / come farfalla / a suggere….)(similitudine), (Più non verrò/ alle chiare stille / ché un vento d’uragano / scuote la terra / privandola d’amore.)(metafora) in Le voci dell’amore, a pag. 245. E gli esempi potrebbero essere molti di più.

Ma il volume, nella sua interezza, ci conduce oltre, e cioé dentro la complessa visione antropologica di Livia Naccarato, che fa ruotare la sua vita intorno al concetto di amore, di un amore universale che va dalla passione impetuosa, e spesso frustrata come già evidenziato, sentita a volte anche dentro una carnalità misteriosa ed oscura, alla pietas per i più deboli, all’amore filiale, alla passione sociale e civile. E’ questo il filo della sua vita che si sdipana nelle forme di una poesia antiretorica e spesso fresca e immediata, corre dentro la memoria in un processo di recherche dove prendono corpo le culture che sono alla base dell’esperienza esistenziale, comprese le tradizioni e le suggestioni antropologiche del popolo arcaico a cui Livia appartiene, come le usanze religiose o il culto dei morti, la vita familiare dell’infanzia e l’esperienza della città con le sue nauseabonde merci, ma anche con la sua multiforme bellezza.

E’ quanto è stato colto con lucidità nella sua acuta analisi premessa al volume, da Sandro Gros-Pietro (La poesia di Livia Naccarato possiede l’ampiezza e la profondità di un discorso universale, pronunciato nel linguaggio della comunicazione aperta e con echi di cultura e di sogno che provengono sia dallo studio meditato delle antichità classiche, sia dalla frequentazione della modernità, ma con una particolare inclinazione di ascolto e valorizzazione per le forme di cultura popolare e semplice racchiuse negli usi, nei costumi, nei patrimoni di tradizioni…)

E’ naturalmente un universale costruito nel tempo, il tempo della vita, in un mosaico di tessere pazienti, poesia su poesia, che emerge dal magma inconsapevole di un generale sentire e si delinea progressivamente (non a caso le liriche sono proposte in ordine cronologico) in una consapevolezza che privilegia intuizione e sentimento, piuttosto che un lucido mentalismo, e la consegna alla coscienza attraverso lo strumento scritturale del codice poetico. Lo consegna innanzitutto alla percezione del sé: si scrive per scoprirsi, per conoscersi e per prendere forma in virtù della funzione di formatività propria della parola, prima che per farsi conoscere. Questo processo in Livia Naccarato è spontaneo e naturale, ma anche colto e sorvegliato. Cosicché dentro un percorso universale la poetessa distilla piccole immagini di conclusa bellezza (Per es. e sussurri s’annidano / fra cosa e cosa / e lenti gesti;/ da Sono nottate, pag 345, oppure Per il mondo siamo andati / con quella leggerezza fra le mani /a forma di tenera corolla / camminando quieti /…. da Uno sguardo, pag 461, oppure E s’è vestita d’amore la montagna /al tocco dell’autunno /… in E’ passato il principe d’oro, a pag 337) tanto per citare minimamente.

Il volume (ancora lui) è costituito, come già accennato, dalle sillogi pubblicate nel tempo, Al ritorno di ogni stagione,1986, Canzone d’amore, 1986, Andare e tornare, 1988,Cercando amore,1991, Il ritorno,1998, Presenza,2000, Il cammino,2003, Verso l’altrove, 2009, accompagnate da prefazioni e presentazioni di intellettuali importanti.

Ciò che conta è il percorso di lettura, ma anche di emozione, e di esperienza esistenziale indiretta che ci propone, affabulando e intrigandoci a volte con drammatica leggerezza, e sospingendoci in un viaggio bruciante e consolatorio nello stesso tempo.


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